lunedì 13 luglio 2015

Il “più Europa” (è) liberista



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Il “più Europa” (è) liberista
Sergio Cesaratto
Il No greco al referendum ha scatenato un coro quasi unanime di commenti secondo cui dall’impasse europea “fra gli opposti nazionalismi greco e tedesco” si esce solo con un’Europa politica e solidale, “meno egoista” insomma. Nei più avveduti, questa visione muove dalla constatazione che l’Europa monetaria non costituisce un’”area valutaria ottimale”. Si argomenta dunque che un’unione monetaria sostenibile implica un’unione politica, la sola che può garantire che i paesi forti si facciano carico, attraverso un cospicuo bilancio federale, dei paesi deboli. Ahimè il modello mercantilista tedesco, disastroso in un’unione monetaria, è anche refrattario a una unione federale “pesante”. Un argomento ancor più dirimente per dimostrare che un’Europa politica è pur possibile, ma solo con uno Stato minimale, viene da un vecchio saggio di Hayek del 1939. La sua argomentazione è che una federazione fra nazioni economicamente e culturalmente disomogenee (si potrà poi ragionare sull’importanza relativa dei due aggettivi) e che controlli un cospicuo ammontare di risorse, non potrà durare a lungo. Essa si fratturerà presto sui criteri di distribuzione delle risorse e/o del potere di allocarle. La fine dell’ex-Yugoslavia è l’esempio più evidente. E basti guardare a quello che succede in questi giorni. Che legittimazione avrebbe un’autorità federale europea di andare contro la volontà di molti paesi di non aiutare la Grecia a sollevarsi? Non sarebbe neppure troppo democratico, a ben vedere. Questo pone la parola fine al sogno dei più tenaci europeisti per cui il problema dell’euro si risolverebbe completando l’unione monetaria con l’unione politica. Dalla padella nella brace verrebbe da dire.

L’astuto Hayek precisa che politicamente sostenibile sarebbe invece uno Stato federale “leggero”, che abbia poco o nessun potere redistributivo e che si occupi solo di regolamentare i mercati e poco altro. Esso sarebbe non solo possibile, ma desiderabile. Per un liberista, naturalmente, non certo per un socialista. Non sorprende che, tanto per fare un esempio nostrano, i più ostinati federalisti italiani siano i radicali, tenaci liberisti in economia - più sfumati i Bordin e ai limiti del fanatismo i Cappato. E non è un caso che il Rapporto dei 5 Presidenti (Draghi, Junker ecc.) sulla riforma politica dell’UE si rifaccia fondamentalmente al modello Hayek: nessuna funzione fiscale perequativa a Bruxelles, banca centrale monetarista e limitazione all’autonomia degli Stati nazionali.
In tal modo si completerebbe il disegno hayekiano che svuota del tutto gli Stati nazionali dei poteri monetari e fiscali, privando le classi lavoratrici nazionali del loro terreno naturale di conflitto: il proprio Stato nazionale. La democrazia si riduce così alle lotte per le libertà civili, coerentemente ritenute centrali dai radicali (il resto la fa il mercato). Si completa così anche la globalizzazione: non solo il capitale si sottrae al conflitto delocalizzando, ma anche lo Stato si fa evanescente - di esso rimane solo il sorriso beffardo del gatto di Alice lassù da Bruxelles.
Naturalmente l’indefesso internazionalista ci dirà che a fronte della globalizzazione di Stato e capitale, anche il lavoro si deve internazionalizzare e creare fronti sovra-nazionali. La storia è tuttavia parca di esempi in questa direzione. L’intreccio fra lotte per l’indipendenza nazionale e per il socialismo è invece un classico della storia del movimento operaio.
La vicenda greca impone che la sinistra prenda coscienza delle ragioni profonde della crisi europea, e smetta di attribuirla a una generica tecnocrazia neoliberista. Vi sono ragioni materiali per cui questa è l’unica Europa possibile ed è quella che le élite desiderano, avvantaggiandosi anche dell’ingenuo europeismo della sinistra. Come Hayek aveva ben colto, il federalismo è la Mecca dei liberisti (e dovrebbe essere anatema per i socialisti). In linea con quanto sostenuto domenica da D’Attorre, questo non implica l’abbandono dell’idea della fratellanza fra i popoli. Attenzione però al fondamentalismo utopico: è di un vecchio e colto amico de il manifesto, Danilo Zolo, ricordare la massima di Proudhon, “Chi dice umanità cerca di ingannarti”.

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