mercoledì 5 marzo 2014

Perché l'Italia cresce meno (degli altri)?



Un articolo con Turci su il manifesto
Primi in rigore, ultimi in crescita
Sergio Cesaratto e Lanfranco Turci
Alcuni giorni fa il Financial Times illustrava una memoria in cui Germania e Finlandia imputavano alla Commissione europea di aver concesso margini di flessibilità di bilancio a Francia e Spagna, allarmate che ora li possa domandare anche l’Italia. Il lettore smaliziato si domanderà a questo punto: ma non sarà che la migliore performance economica dei cugini latini rispetto al nostro paese abbia a che fare con il loro comportamento più disinvolto a fronte del nostro rispetto alla lettera dei vincoli europei? E’ così.

Le recenti previsioni della  Commissione europea confermano infatti una timida ripresa nell’Eurozona, dell’1,2% nel 2014 e dell’1,8% nel 2015 (inferiore al 2,9% e 3,2% degli Stati Uniti) con l’Italia maglia nera fra i grandi paesi (0,6% nel 2014 e 1,2% nel 2015). Mentre il nostro paese ha fatto del pieno rispetto dei vincoli europei sul disavanzo pubblico l’architrave della propria politica economica, Spagna e Francia se ne sono in certa misura disinteressate. Basti osservare che il disavanzo spagnolo nel 2013 è stato del 7,2% e quello francese del 4,2% senza che i nostri cugini abbiano subito particolari rampogne dall’Europa. Il diligente governo Letta col suo 3% si aspettava grandi encomi e l’autorizzazione a non conteggiare alcuni investimenti pubblici nel disavanzo del 2014. Ma l’Europa ha detto no e lo spietato Olli Rehn non fa passare giorno senza richiamarci a ulteriore rigore. E la questione non riguarda solo il passato ma anche il futuro. Dai dati della Commissione si desume che mentre nei prossimi due anni noi manterremo il disavanzo ben sotto al 3% e il disavanzo “strutturale” sotto l’1% (quest’ultimo che tiene conto del ciclo e di altri fattori ha un obiettivo europeo dello 0,5%), sia Spagna che Francia sforeranno ampiamente questi vincoli.
Questi paesi hanno dunque abilmente sfruttato i margini di flessibilità concessi dalle bizantine regole europee deprimendo così meno la loro domanda interna e crescendo un po’ più dell’Italia. La scommessa di Letta dell’allentamento dei vincoli se avessimo fatto i bravi ragazzi non è stata solo persa, ma era anche assai discutibile. Era il caso di scambiare centinaia di migliaia di disoccupati in più accelerando la deindustrializzazione con la prospettiva una manciata di miliardi di investimenti aggiuntivi? Spagna e Francia hanno fatto i loro calcoli presenti e futuri meglio di noi.
Si dirà naturalmente che col suo debito pubblico l’Italia non aveva alternative. Ma queste politiche hanno gettato il paese allo sfascio e fatto salire il rapporto debito/Pil al 130%, non certo un risultato eccellente. Vero che se ci comportassimo come i nostri cugini cercando di sostenere di più la domanda interna i nostri conti con l’estero peggiorerebbero. Ma non dimentichiamo che vittima del crollo della domanda interna sono anche le imprese esportatrici e questo fa comunque peggiorare i conti esteri. E che invece di cercare di sostenere la domanda aggregata europea, come nelle responsabilità di una vera potenza regionale leader, Berlino sta perseguendo una politica di pareggio di bilancio (0,1% nel 2013, pareggio i prossimi anni) e addirittura di surplus se si depura dal ciclo. Inoltre le previsioni della Commissione mostrano come il surplus commerciale tedesco si manterrà ben al di sopra del limite del 6% del Pil per cui la stessa Commissione aveva aperto lo scorso autunno una procedura di “squilibrio eccessivo”. Ma la Germania, com’è noto, è la prima a infischiarsene delle regole. Naturalmente non basta certo un po’ di sforamento dai vincoli europei per generare una vera uscita dalla crisi, tutt’altro. Ma anche queste considerazioni provano quanto siamo lontani dalla necessaria svolta energica nel nostro rapporto con l’Europa e nelle politiche di quest’ultima di cui, infatti, non si vede traccia nelle dichiarazioni del Presidente del Consiglio in piena continuità con l’atteggiamento a dir poco remissivo dei precedenti governi. 
(il manifesto 5 marzo 2014)

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